IMA-STEMI: più attenzione alla fase pre-ospedaliera!

 

Paolo Groff

Nell’arco di una decade o più uno degli ambiti che maggiormente hanno rappresentato una sfida sul piano della crescita organizzativa e qualitativa per i Medici d’Urgenza nel mondo è stata la costituzione delle reti cliniche per le patologie tempo-dipendenti. La necessità di entrare in relazione con ambiti disciplinari diversi, allo scopo di garantire al paziente un percorso coerente dal territorio al trattamento definitivo, così come l’adozione di procedure standardizzate e validate, non solo dalle evidenze, ma anche dal consenso internazionale, hanno elevato l’operatività del DEA ad uno stadio completamente nuovo.

Considerando l’infarto miocardico con sopraelevazione del tratto ST, in ottemperanza all’aforisma “il tempo è muscolo”, il massimo grado di sforzo organizzativo e qualitativo è stato rivolto all’accelerazione delle procedure di rivascolarizzazione e conseguente massimizzazione del salvataggio di miocardio vitale.
Un certo numero di studi osservazionali aveva evidenziato una stretta associazione tra rapidità dell’esecuzione dell’angioplastica percutanea primaria, espressa in termini di “door to balloon time” (intervallo di tempo tra l’arrivo del paziente in ospedale e il gonfiaggio del palloncino) e riduzione della mortalità (1-3). In conseguenza di questo le attuali linee guida congiunte dell’American College of Cardiologists-American Heart Association raccomandano un door to balloon time di 90 minuti o meno (Classe I) e questo indicatore è divenuto un misuratore universale di performance per le strutture sanitarie e, negli Stati Uniti, un parametro per determinare la “rimborsabilità” delle prestazioni sanitarie da parte dei Centres for Medicare and Medicaid Services (CMS). Tutto ciò ha determinato in questo paese e nel mondo intero una significativa riduzione della durata media del door to ballon time (4), tuttavia l’atteso effetto positivo sulla mortalità per IMA-STEMI non è stato altrettanto evidente.

Utilizzando il CathPCI Registry of the National Cardiovascular Data Registry (NCDR, 95007 pazienti), Menees e collaboratori hanno condotto uno studio volto a documentare il progressivo miglioramento del door to balloon time nel quadriennio 2005-2009 e la possibile associazione con la mortalità intraospedaliera (5). Gli autori, oltre a confermare un significativo decremento dell’indicatore considerato, non riuscivano a documentare, nello stesso periodo, alcuna riduzione della mortalità intraopsedaliera per IMA-STEMI sottoposto a PCI. Il dato non
variava dopo aggiustamento per presenza di fattori di rischio e considerando specifiche categorie a rischio (età > 75 anni; infarto miocardico della parete anteriore; presenza
di shock cardiogeno) inducendo gli autori stessi ad esprimere dubbi sul fatto che il door to balloon time debba continuare ad essere il punto focale delle misurazioni di performance delle strutture sanitarie abilitate alla PCI e dei Sistemi di Emergenza. L’associazione positiva tra decremento del door to balloon time e riduzione della mortalità suggerita nei precedenti studi potrebbe riflettere un bias legato alla più rapida accessibilità alle procedure di rivascolarizzazione per i pazienti in migliori condizioni cliniche rispetto a quelli per i quali necessitano preliminari manovre di stabilizzazione, inoltre nei centri più attrezzati la riduzione del door to balloon time potrebbe essere concomitante al miglioramento di altri e non meno importanti indicatori di performance. Inoltre, l’osservazione dell’incremento dell’attivazione dei team di emodinamica per “falsi allarmi” e la concreta preoccupazione che l’eccessivo accorciamento dei tempi di gestione porti ad una minore accuratezza nella valutazione delle co-morbidità eventuali o ad errori nella raccolta del consenso informato con ricadute negative sulla sicurezza del paziente giustificano qualche perplessità sull’efficacia di iniziative che puntino soltanto al door to ballon time (6). Tuttavia, altre considerazioni appaiono altrettanto pertinenti: il door to balloon time è una componente del tempo totale di ischemia; qualora esso venga ridotto al massimo del possibile, non potrà che costituire una porzione minimale di tale tempo, spostando l’attenzione su tutto ciò che può essere fatto prima dell’arrivo del paziente in ospedale. Mentre non è logico aspettarsi importanti ricadute sulla mortalità globale da ulteriori riduzioni della durata della fase intraospedaliera della gestione del paziente, strategie volte a migliorare la consapevolezza sociale della sintomatologia dell’ischemia miocardica e dell’utilizzo dei sistemi di emergenza, a ridurre il tempo tra insorgenza dei sintomi e arrivo in ospedale, nonché il tempo di trasferimento tra ospedali non dotati e quelli dotati di emodinamica appaiono altamente promettenti.
Ancora una volta, non è possibile non riconoscere il ruolo centrale del Dipartimento d’Emergenza, con le sue componenti pre- ed intraospedaliera, in ogni prospettiva di sviluppo di questa fondamentale rete clinica; sempre di più è necessario da parte di tutti i professionisti dell’emergenza-urgenza un elevato livello di consapevolezza della posizione primaria assunta dalla nostra categoria nel consentire l’arrivo del paziente critico alle “cure necessarie” in un regime di cooperazione paritetica con tutte le altre figure professionali coinvolte.