Appropriatezza dell’utilizzo dei mezzi di soccorso per l’accesso al Pronto Soccorso dell’ospedale San Paolo di Savona

Roberto Lerza, Sabrina Ciuti, Maria Ghinatti, Grazia Guiddo, Pierangela Minuto, Giovanni Rusconi, Tonino Chessa, Nadia Piccardo, Alessandro Riccardi

S.C. Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza-OBI, Ospedale San Paolo, Savona

Abstract

we observe an increase in access in our Emergency Department transported by ambulance. In order to investigate this point, we analyzed three months (January, August and October) in 2010 and 2014, and we document an increasing trend in the transported patient with ambulance (25% to 45%). We perform an observational study during October 2015: the triage nurse evaluated the appropriateness of tha ambulance transport in a special form. A joint commission, formed by two emergency physician and two triage nurse, evaluated subsequently any form. On 1358 case, 412 was defined as “avoidable” use of the ambulance (30%); among these, in 33 case the ambulance was considered necessary for logistical and social condition, and also 24 case was excluded by the commission and defined as “appropriate”. So, the transport with ambulance was considered inappropriate in 355 cases (26%). The ambulance’s transported patient  influences the working load of an emergency department: in our opinion, it’s important to educate population in the correct use of ambulance, but first of all it’s mandatory to use a more appropriate and restrictive criteria in the organization of Emergency Service

Introduction

Negli ultimi anni tra gli operatori infermieri e medici del pronto soccorso del San Paolo di Savona, si è diffusa l’impressione che vi sia stato un netto incremento degli accessi  al triage in ambulanza. Il fenomeno è stato percepito come molto più marcato rispetto all’aumento degli accessi globali al pronto soccorso, accessi che con andamento ondulante, hanno  una lenta tendenza ad aumentare. La conferma di questa impressione si è avuta sia effettuando un confronto tra il 2010 ed il 2014 (tabella 1), misurando   la percentuale annuale  degli accessi in ambulanza rispetto agli accessi totali, sia eseguendo la stessa misurazione  scegliendo tre mesi campione (gennaio, agosto, ottobre) per ciascun anno dal 2010 al 2015. Nel dettaglio la rilevazione ha anche scorporato dal totale degli accessi la sola popolazione adulta e cioè i soggetti con età superiore ai 14 anni in quanto al triage del pronto soccorso sono  anche registrati accessi pediatrici di tipo medico, che vengono poi smistati verso le sale del pronto soccorso pediatrico. I risultati , ottenuti dal sistema informatico di registrazione, sono illustrati in fig. 1  e confermano l’impressione degli operatori. L’andamento nei 3 mesi campione non è stato molto dissimile e, come osservabile dai grafici, si è passati da una percentuale di circa il 25% di accessi in ambulanza nel 2010, a percentuali decisamente più elevate che negli ultimi 3 anni oscillano tra il 35 ed il 45%. Il dato è davvero clamoroso e tradotto in termini pratici significa che se nel 2010 un  paziente su 4 giungeva al PS con un mezzo di soccorso, oggi quasi 1 paziente su 2 viene condotto  in ambulanza  al servizio di emergenza.  Questo fenomeno, nel periodo relativamente breve 2010-2015, è troppo marcato per essere spiegato dall’aumento degli accessi al pronto soccorso o dall’invecchiamento della popolazione e tantomeno dalla epidemiologia delle emergenze-urgenze che di anno in anno è sostanzialmente sovrapponibile. Essendo quindi più ipotizzabile che alla base di questi rilievi vi siano  delle profonde modificazioni nei criteri di invio dei mezzi di soccorso insieme  forse a cambiamenti culturali e convinzioni della popolazione, abbiamo deciso che valesse la pena studiare il fenomeno , monitorando per un certo periodo l’arrivo dei mezzi di soccorso, analizzando il motivo dell’accesso dei pazienti trasportati e cercando di stabilire l’appropriatezza dell’utilizzo dell’ambulanza.

Materiali e metodi

La nostra analisi è stata condotta nell’intero mese di ottobre 2015 registrando al triage del pronto soccorso tutti i pazienti che giungevano trasportati dai mezzi di soccorso. Al momento dell’arrivo di ogni paziente, l’infermiere di triage in turno, prima della registrazione dei parametri vitali, valutava con semplici domande il motivo medico di arrivo al pronto soccorso raccogliendo le informazioni analogamente a quanto si potrebbe fare telefonicamente. In questo modo l’unica differenza rispetto ad una valutazione telefonica, è stata quella di poter fisicamente vedere il paziente. Al termine di questa valutazione l’infermiere di triage  registrava su una apposita scheda (fig.2) la sua personale opinione sulla necessità o meno del trasporto in ambulanza per il caso in questione. Nel dettaglio la scheda prevedeva di poter identificare un trasporto “sicuramente appropriato” o in alternativa un utilizzo “evitabile” del mezzo di soccorso distinguendo in quest’ultima voce quei trasporti evitabili dato  il tipo di sintomo/patologia dichiarata, da quelli a cui l’ambulanza era comunque stata concessa ma per motivazioni di tipo sociale e/o logistico. Solo dopo aver compilato la scheda l’infermiere di triage procedeva alla registrazione dei parametri vitali di triage (pressione arteriosa, frequenza cardiaca e respiratoria, temperatura corporea, saturazione di ossigeno, GCS)sull’abituale scheda di triage  ed allegava quest’ultima alla  precedente.  Una volta raccolto tutto il materiale del mese, è stata istituita una commissione di 4 medici e 4 infermieri che si sono riuniti per valutare ciascun caso alla luce del contenuto della schede di appropriatezza e delle rilevazioni di triage e stabilendo a maggioranza se confermare o meno il giudizio contenuto nella scheda di fig.2

Risultati

Su 1358 schede compilate alla prima valutazione di triage il numero di quelle classificate come trasporti con mezzo di soccorso “evitabili” è stato di 412 (30,3%). La commissione ha quindi analizzato solo queste schede ritenendo a priori appropriati gli altri casi che sia il sistema 118 che l’infermiere del triage avevano giudicato meritevoli di trasporto con ambulanza (69,7 %). Nell’ambito dei casi cosiddetti evitabili sono state confermate anche 33 schede nelle quali il ricorso all’ambulanza, per quanto evitabile da un punto di vista clinico, veniva ritenuto necessario per motivi sociali o logistici, cioè pazienti molto anziani, disabili, soli, residenti in zone disagiate o impossibilitati a raggiungere l’ospedale in altro modo. Dopo valutazione della commissione, ulteriori 24 casi ritenuti “evitabili”, sono stati invece giudicati presumibilmente appropriati o comunque incerti e quindi sottratti al numero iniziale. La risultanza finale è stata che la conferma all’unanimità del giudizio di inappropriatezza dato dall’infermiere di triage ha riguardato 355 casi e cioè il 26,1% di tutti gli accessi con mezzo di soccorso. L’età media è risultata relativamente bassa e cioè di 56,4 anni (range 8-82).Non è possibile scendere nel dettaglio di ciascun singolo caso , ma una grossolana suddivisione per categorie di sintomi e diagnosi di presentazione è riportata in tabella 2. E’ importante sottolineare che tra le addominalgie non vi erano problemi riferibili a coliche biliari e/o renali bensì erano prevalenti i problemi di stipsi e alvo diarroici ; nella voce turbe psichiche-disagio sociale rientrano sindromi ansiose e depressive e l’etilismo cronico, i quadri neurologici sono essenzialmente riferiti alle cefalee e quelli cardiologici a riscontri di anomalie della pressione arteriosa senza i caratteri dell’emergenza o urgenza ipertensiva. Per il 92% dei casi si trattava di codici di triage bianco e verde con il restante 8% di codice giallo, ricordando comunque che questi sono codici di priorità di visita e non necessariamente di gravità e che comunque , tranne che per il codice rosso, possono non avere correlazione alcuna con la necessità di un trasporto in ambulanza. La commissione ha espresso il suo giudizio unanime sui 355 casi regolandosi su criteri quali, il sintomo/diagnosi di ingresso , il tempo dichiarato di insorgenza e le caratteristiche ambulatoriali dello stesso, l’età del paziente,il contesto familiare, l’area geografica di residenza e la disponibilità di mezzi alternativi per raggiungere il pronto soccorso.

Discussione

Il trasporto  di un paziente con un mezzo di soccorso alle strutture dell’emergenza impatta  in maniera significativa su vari aspetti del lavoro  .E’ quasi pleonastico affermare che l’arrivo  di una ambulanza dovrebbe presupporre una situazione piuttosto critica ed urgente che in genere crea apprensione e tensione organizzativa anche nei sistemi più oliati.  Un paziente trasportato in autolettiga , rimane in genere  sulla barella del pronto soccorso  finché non è stato valutato fatto salvo il caso che l’infermiere di triage, resosi conto dell’inappropriatezza della situazione, faccia accomodare il paziente seduto in sala d’attesa. Le barelle occupate dai pazienti stazionano all’interno del pronto soccorso , non in sala d’attesa e  quando sono troppe ,  alimentano la confusione ed il disagio di tutti, pazienti ed operatori. Vale la pena anche rimarcare che se un paziente è stato trasportato in ambulanza, soprattutto se proveniente da zone piuttosto lontane dall’ospedale, in genere richiede (e talora pretende) lo stesso mezzo per tornare a domicilio quando  dimesso ; questo fenomeno è oramai molto frequente e genera conflitti tra gli operatori e l’utenza. Quindi  ci è parso giustificato cercare di indagare le cause che sono alla base del notevole incremento dei trasporti in ambulanza registrato  negli ultimi anni .Come già riportato nell’introduzione, la motivazione di questo non è legata all’incremento degli accessi al pronto soccorso, né  all’invecchiamento della popolazione né ad una differente incidenza delle  emergenze più comuni. Crediamo invece  che vi siano almeno due componenti alla base dell’aumento dei trasporti inappropriati.

La prima  di queste  è legata innegabilmente ad aspetti di educazione civica per cui il ricorso ad un mezzo di soccorso non è più visto da molti utenti come una “extrema ratio” come era un tempo e cioè una opportunità da utilizzare solo in casi selezionati e gravi.  L’ambulanza è un diritto, molti la ritengono un mezzo per accedere prima ai servizi sanitari, alcuni tendono ad utilizzarla come se fosse un taxi, altri scendono tranquillamente a piedi dal mezzo di soccorso e sono seguiti per tutto il tragitto dai parenti in automobile. Non è infrequente per chi lavora  in pronto soccorso sentire frasi del tipo “ ho preso l’ambulanza così salto la coda”. E’ certamente una convinzione erronea, ma dà l’idea dei profondi cambiamenti culturali che negli ultimi anni si sono sviluppati nella popolazione e che riflettono una idea distorta dei servizi, specialmente quelli dedicati all’urgenza. Il parallelo tra l’utilizzo improprio delle ambulanze e quello improprio del pronto soccorso è persino troppo facile. Si arriva anche a dichiarazioni davvero spudorate ma non del tutto episodiche  quali “mi sono fatto mandare l’ambulanza perché se sposto la macchina poi non trovo più parcheggio”. Certamente alcuni anni fa era impensabile che qualcuno potesse ragionare in questo modo. Parte di questi comportamenti dipende anche dal fatto che è aumentato il livello di apprensione della popolazione per qualunque  problema sanitario  ed i mass media  hanno  avuto il loro ruolo nell’alimentarlo , però resta il fatto che sembra molto basso il livello dell’educazione civica che dovrebbe portarci ad usare i servizi pubblici correttamente. Il concetto di soccorso stesso dovrebbe presupporre  situazioni di urgenza e solo a queste necessità i mezzi dovrebbero essere riservati. Tra l’altro la maggior parte delle pubbliche assistenze utilizza personale volontario e non è certo etico abusare del lavoro dei volontari.

Il secondo aspetto che a nostro giudizio , almeno nella nostra regione, sta giocando un ruolo in questo fenomeno è il radicale cambiamento che vi è stato nella chiamata di soccorso da pochi anni a questa parte. E’ stato infatti adottata una procedura di risposta telefonica  che, ancora prima di chiedere quale sia il motivo della chiamata, risponde costantemente con un “pronto 118, dove mando l’ambulanza ?”. Sembra quasi che il mezzo di soccorso venga “offerto a prescindere” e allora perché non approfittarne ? Un tal modo di interloquire con l’utenza non presuppone più una selezione sulla base di una analisi (per quanto telefonica) delle necessità, ma piuttosto è la attestazione di un diritto . L’utenza non deve più porsi il problema su come raggiungere il pronto soccorso perché probabilmente una ambulanza gli viene inviata. Addirittura qualcuno riferisce di aver chiamato per fare richiesta di una visita della guardia medica ed invece si è visto arrivare una ambulanza che lo ha portato al pronto soccorso anche se riteneva di non averne bisogno. E’ naturale che in una valutazione telefonica sui fabbisogni reali sia necessaria una sorta di “overtriage” a tutela dei pazienti e degli operatori ed anche noi crediamo di aver effettuato una buona dose di sopravvalutazioni nell’analisi delle schede,  ma  l’incremento notevolissimo  ed improprio che abbiamo comunque confermato nella nostra valutazione sui  trasporti,  non può avere altre spiegazioni. Infatti si è verificato piuttosto bruscamente e la spiegazione è che è cambiato l’approccio all’utenza di chi riceve una chiamata di soccorso. Sembra di trovarsi di fronte alla applicazione “assolutistica  o massimalista “ di una sorta di medicina difensiva telefonica . L’assunzione di responsabilità, che ciascuno dovrebbe avere compatibilmente al proprio ruolo, viene demandata ad altri. Così non è più una eccezione vedere arrivare in ambulanza orzaioli, mal di gola e mal di denti, epistassi, nevi, noduli mammari etc. Ma  il disagio che crea l’arrivo al pronto soccorso di un numero sempre maggiore di pazienti barellati è  notevole in termini di confusione, rischio clinico, mancanza  di spazio , sorveglianza .La situazione ha del paradossale perché se ci si è sempre lamentati del fatto che la medicina territoriale non svolga una azione di filtro sull’invio delle patologie al pronto soccorso, adesso sta venendo a mancare anche il filtro che veniva effettuato dal sistema dell’emergenza territoriale. Quindi, di fatto, è l’organizzazione generale del  sistema dell’emergenza a mettere in crisi se stessa. E non ci si deve sorprendere se le strutture di pronto soccorso sono sempre più affollate e se sta passando nella popolazione l’idea che sia normale andare al pronto soccorso anche per problemi banali e risolvibili con altri percorsi.

Infine l’aspetto non meno importante è quello economico. Il trasporto in urgenza al pronto soccorso ha un costo fisso di circa 30 euro per l’ASL oltre ad una quota legata al chilometraggio (1)e spesso  le distanze per raggiungere gli ospedali sono notevoli. Di fatto, in maniera approssimativa e sicuramente  sottostimata, ogni trasporto urgente andata e ritorno dovrebbe avere un costo di almeno 40 euro. Quindi la spesa mensile delle inappropriatezze registrate solo al San Paolo si aggirerebbe sui 14.000 euro che in proiezione sarebbero 170.000 all’anno.  Considerati gli altri 3 ospedali dell’ ASL, ove verosimilmente si verifica lo stesso fenomeno con un numero totale di trasporti in ambulanza che è circa equivalente a quello del San Paolo, è possibile ipotizzare che la ASL debba rimborsare almeno 300.000 euro all’anno  di servizi di trasporto evitabili. Di qui ad immaginare lo scenario ligure il passo è breve ed il risparmio potrebbe essere di oltre 1 milione di euro ogni anno . Tutto questo senza contare che ad alcuni pazienti bisogna necessariamente concedere , dopo la valutazione in PS , anche il trasporto per rientrare a domicilio a prescindere dalle condizioni cliniche. E questo è un ulteriore costo.

Alla luce di quanto sopra si impone una riflessione più generale sul nostro sistema sanitario che da anni tende a  razionalizzare la spesa, non senza dolorose politiche di tagli su personale, posti letto , farmaci e ospedali, cercando di dare comunque una impostazione incentrata sulla  ottimizzazione delle risorse  e cioè mirata alla efficienza ed all’efficacia. Per fare questo si è tutti chiamati ad una assunzione di responsabilità che da un lato dovrebbe sempre contraddistinguere il lavoro dei professionisti  e dall’altro riconoscere che non è più il tempo per gli approcci massimalisti e superflui , perché non possiamo più permetterceli se non mettendo in crisi l’equità e la sostenibilità del sistema.

Bibliografia

  1. Decreto Giunta Regionale Liguria n.283/2010. Accordo Quadro regionale per la regolamentazione dei rapporti tra aziende sanitarie locali ed vospedaliere e ANPAS, CIPAS e CRI